– Manco fosse una zappa (‘na zapp).
– Gli pesa la penna p’ssorè.
[Dicono così i genitori dei ragazzi svogliati]
I padri contadini che la zappa in campagna non la usano più, eliminano l’erba con il veleno e possiedono (o affittano) i trattori con tutti gli accessori. Come il “Bimbo” che le mogli hanno in casa.
– Le fave vengono benissimo.
– Tu lo tieni il Bimbo?
[Dicono, se non ce l’hai sei antica, antiquata. Povera, perché se uno ha i soldi deve dimostrarlo, comprando oggetti]
Mia nonna avrebbe inorridito: la mattina alle otto preparava ” ‘u miss” (quantità giusta) delle fave nella pignatta di terracotta e lo copriva d’acqua. Mio nonno, intanto aveva già acceso il fuoco, sistemando la legna “a parapall”. Litigava sempre con la nonna, per questo modo di preparare il fuoco. Siccome brigava anche mia madre con mio padre ho sempre pensato che ci sia un modo maschile e uno femminile, per accendere il fuoco. Le donne appoggiano pochi legnetti e qualche tronchetto sottile, il giusto, per avviare la fiamma, caricandola all’occorrenza. I maschi lasciano sotto la legna una “camera d’aria”, e accatastano più tronchi. Una preparazione più “enfatica” “a parapall”. Sarebbe lecito pensare che il termine indichi quell’ammennicolo su cui Tafazzi si scatena e invece il “parapall” è una palla di pezza, attaccata ad un elastico. Si usa come uno yo yo con la differenza che bisogna “parare” la palla.
Forse indicava una situazione di confusione: il nonno veniva allontanato, la nonna raccoglieva con la paletta i rami bruciacchiati che cadevano sul pavimento, borbottando sulla nota inefficienza maschile. (Infatti sono proprio contenta di essere nata femmina.)
La casa di nonna era composta da un sottano (u iuse) e da una abitazione su due piani. Nel sottano c’era una piccola stanza (ricavata sotto un’arcata) per il fuoco. Si saliva lo scalino per entrare e lateralmente aveva mensole e sedili di pietra per seguire comodamente la cottura dei cereali e degli ortaggi (peperoni arrostiti e patate sotto la cenere) della carne e delle “tiedd” (tegami) di carne o di pasta. E per riscaldarsi le mani, d’inverno, mentre si ascoltavano i racconti e le storie degli “avi”.
Una umanità identificata dagli attrezzi di lavoro “uomo di zappa” e “uomo di penna”. Oggi non si usano più, ma è rimasto un certo modo di parlare, soprattutto tra i più giovani.
E, dunque, dicono “gli pesa la zappa” con la pronuncia che si compiace sulla za, come quando raccontano una sconcezza.
Il professore sorride e comprende, lo dicevano anche a suo padre e lui è ben contento di tornare in campagna. Ogni anno, si assenta prima ad aprile e poi prende le ferie a maggio.
–Signora mia, se cominci a pagare gli operai, non ti resta niente nella tasca. Con la crisi che c’è! [Racconto da un Paese che non conosce mai crisi]