Ma quando mai!

mi sono detta: stavo seguendo il video racconto sull’infanzia di Nichi Vendola a Terlizzi. Alcuni frammenti, belle immagini eh, con le testimonianze della mamma di Nichi, sottolineate da una musichetta dei Sud Sound System, sì quella simu salentini … cu li giammaicanima quando mai, a Terlizzi? in provincia di Bari?
Un refuso del video racconto dell’infanzia di Fitto, probabilmente; ma anche no, se tutti, ma proprio tutti quelli che incontro a nord di Foggia, ogni volta che rispondo –sono di Bari, mi sorridono e mi raccontano delle vacanze nel Salento.
Vabbuò, chi se ne frega, per dire, però al posto di Nichi, in studio, avrei sottolineato l’ignoranza musicale degli autori della trasmissione. Ma ho spento e mi sono messa a dormire, non prima di chiedermi: farà proprio bene Nichi a usare tutta ‘sta enfasi per la narrazione, considerato che il popolo della sinistra è sempre alla ricerca della delusione?

Avanti popolo, clic

L’attivismo digitale è un pericolo per la sinistra. Le sue inefficaci campagne di marketing finiscono solo col diffondere cinismo politico tra le persone e sottraggono attenzione ai movimenti radicali più genuini. La sostituzione di campagne consistenti con le logiche della pubblicità ha come risultato finale il progressivo diffondersi del disinteresse politico.

Un altro termine con cui ci si riferisce all’impoverimento dell’attivismo digitale è slaktivism, dall’unione dei due termini slacker e activism. In inglese slacker significa “lavativo”, con slaktivism si vuole quindi suggerire che fare attivismo online è semplicemente un modo pigro e facile per tenere a posto la propria coscienza. Le firma di una petizione su Facebook o la diffusione di qualche video connesso a cause sociali sono spesso citati come esempi di questa pratica.

Forse è arrivato il momento di porsi una domanda molto difficile: siamo sicuri che i risultati ottenuti attraverso queste campagne online valgano le perdite subite dalle organizzazioni più tradizionali, che sempre più spesso sono snobbate dalle persone che preferiscono forme più comode – ma la cui efficacia deve ancora essere tutta dimostrata – di attivismo. Non si tratta di cercare di capire se il lavoro di mille slaktivist equivale al lavoro silenzioso e spesso non riconosciuto di un solo attivista tradizionale. Il vero problema qui è capire se la sola opzione dello slaktivism possa disincentivare l’azione concreta di quelle persone che in passato si sarebbero confrontate direttamente con dimostrazioni, volantinaggio e sit-in. Spingendole a optare per una più facile sottoscrizione a qualche centinaia di cause via Facebook. Se questo sta davvero accadendo, allora vuol dire che i tanto osannati strumenti della libertà digitale ci stanno solo portando ancora più lontano dall’obiettivo di costruire una società civile e democratica. Il Post

L’idea del mondo

…il nuovo non puoi definirlo una Cosa, solo perché hai paura di usare parole tragicamente disonorate come progetto, ideologia, meta.

Da allora sono passati vent’anni, e gli eredi del Pci ancora soffrono quel congedo precipitoso, quel vocabolario che d’un colpo si svuota. Ci sono parole che lasciano l’impronta anche se son nebbia, e un destino simile toccò alla Cosa. Al posto dell’idea del mondo, comparve questo sostantivo che è un annuncio, un guscio che si promette di riempire: «un nome generico – scrive il Devoto – che riceve determinazione solo dal contesto del discorso». Tutto da allora è stato futuro appeso a un contesto indeterminato: anche le primarie, cui si era chiamati a aderire senza saper bene a cosa si aderisse. Anche la speranza di coniugare le due forze fondatrici della repubblica: il socialismo e il cattolicesimo, dimenticando (lo storico Giuseppe Galasso l’ha ricordato il 30 agosto sul Corriere della Sera) il terzo incomodo che è la tradizione laica, liberale, radicale.

Forza indispensabile della sinistra ma non bene identificata, l’ex Pci l’ingombra con il peso, non leggero, di una storia ripudiata. Sono anni che espia, fino all’eccesso, un passato di cui tuttavia non vuol parlare. Il centrismo, i toni bassi, la tregua fra i poli, la politica senza contrapposizioni: siamo in un paese dove il principale partito di sinistra, vergognandosi del passato, non fa vera opposizione per tema di somigliare a quel che era.

Vivere la modernità da praticoni è l’abbandono dell’ideologia, in nome dell’antidogmatismo. Il fatto che le ideologie totalitarie siano perite, non significa che un partito possa solo vivere di volontà di potenza, e su essa fabbricare inciuci. Che possa continuare a ricevere il colore da discorsi effimeri. Dotarsi di un’ideologia vuol dire avere un sistema coerente di immagini, metafore, princìpi etici. Vuol dire pensare un diverso rapporto con gli stranieri, la natura, il lavoro che muta, l’immaginario. A differenza della politica quotidiana, l’ideologia ha una durata non breve ma media, e la durata non è imperfezione. È perché non aveva idee sull’informazione di massa e sulla società di immigrazione che la sinistra fu travolta da Berlusconi. Che non seppe adottare, subito, una legge sul conflitto d’interesse. Che giunse sino a chiamare la Lega una propria costola

Vita normale, per la sinistra, ha significato sin qui smobilitazione ideologica, conformismo: il nuovo ancora lo si aspetta.
Barbara Spinelli, Quel muro che cadde sulla sinistra

Summertime blues

argentario

Nel giro maremmano era compresa anche una visita a Capalbio, così, per vedere i luoghi dov’era incominciata la deca/dance.

La mattina, partenza per l’Argentariodovevo andarci in viaggio di nozze, poi un vecchio compagno MLS consigliò Venezia – fatto il giro, bello bellissimo; sosta a Talamone.

– Ma perchè si fermarono qua, i Mille? –
– mah, forse dovevano “caricareNino Bixio
– ma dai, non era siciliano? –
– scherzi, era un ligure, maremma maiala (col dovuto rispetto per i luoghi e gli animali)
– vero, hai ragione, in Sicilia fece il massacro dei contadini –
– ecco bravo-
– ma allora perchè sono passati da Talamone? –
– facciamo la domanda a casa? –
mando un sms ai figli con la richiesta: nessuna risposta

Sono già le due del pomeriggio, fa caldo e ho fame. Scegliamo il ristorante, un pergolato arioso, in cima a quattro gradini.
C’è gente che mangia di gusto, e io sto cercando da due giorni una panzanella – sono nella settimana, mangia quello che desideri –  questo sarà il posto giusto.

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Il culto della testimonianza

Gli italiani si sono convinti che la politica sia il male che corrode il paese. Perciò una larga parte dei nostri concittadini ha delegato la sua rappresentanza ad un giocoliere che ostenta il suo odio contro la politica e il suo qualunquismo congenito e festevole, all’ombra del quale sta nascendo un potere intrusivo, autoritario, concentrato nelle mani di un solo individuo.

* * * L’analfabetismo politico degli italiani è molto diffuso tra quelli che parteggiano per la destra ma non risparmia la sinistra. Per certi aspetti anzi a sinistra questa assenza di educazione politica è uno dei suoi connotati, in particolare tra i sedicenti intellettuali che sono forse i più analfabeti di tutti. Uno degli effetti più vistosi di questo fenomeno consiste nella ricerca di un partito da votare che corrisponda il più esattamente possibile alle proprie idee, convinzioni, gusti, simpatie. Ricerca vana poiché ciascuno di noi è un individuo, una mente, un deposito di pulsioni emotive non ripetibili. Le persone politicamente mature sanno che in un sistema democratico occorre raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenti il meno peggio nel panorama dei partiti in campo. La ricerca del meglio porta inevitabilmente al frazionamento, alla polverizzazione del voto, al moltiplicarsi dei simboli e di fatto alla rinuncia della sovranità popolare.

Aldo Schiavone ha scritto ieri che la polverizzazione del voto è frutto di un narcisismo patologico: per dimostrare la nobiltà e la purezza della propria scelta si getta nel secchio dei rifiuti la sovranità popolare. Non si tratta d’invocare il voto utile ma più semplicemente di predisporre un’alternativa efficace per sostituire il dominio dei propri avversari politici. La destra sa qual è il suo avversario e fa massa contro di lui. La sinistra coltiva il culto della testimonianza, ma quando si trasferisce quel culto nell’azione politica il risultato è appunto la rinuncia ad una sovranità efficace per far posto al narcisismo dell’anima bella, pura e dura.  Eugenio Scalfari, Le anime belle di fronte alle urne su repubblica.it

Aggiornamento

maurobiani

Né più mai toccherò le sacre sponde

Gli esuli

Questi ex-democratici. Vivono da “esuli” nel loro stesso paese. Lo guardano con distacco. Anzi, non lo guardano nemmeno. Per soffrire di meno, per sopire il disgusto: si sono creati un mondo parallelo. Non leggono quasi più i giornali. In tivù evitano i programmi di approfondimento politico, ma anche i tiggì (tutti di regime). Meglio, semmai, le inchieste di denuncia, i programmi di satira. Che ne rafforzano i sentimenti: il disprezzo e l’indignazione.

Questa raffigurazione, un po’ caricata (ma non troppo), potrebbe essere estesa a molti altri elettori di sinistra (cosiddetta “radicale”). Scomparsi anch’essi nel 2008 (2 milioni e mezzo in meno del 2006: chi li ha visti?). Non sarà facile recuperarli. Per Franceschini, Bersani, D’Alema, Letta. Né per Ferrero, Vendola, lo stesso Di Pietro. Perché non si tratta di risvegliare gli indifferenti o di scuotere i delusi. Ma di restituire fiducia nella politica e negli altri. Di far tornare gli esuli. Che vivono da stranieri nella loro stessa patria.

Ilvo Diamanti, Repubblica

Molta resistenza

 ci vorrà, oltre a tanta pazienza, per raccontare una [nuova] storia innovativa, convincente e coerente.

Ma non possiamo lasciare che la destra porti a termine il suo programma, ideologico, reazionario e favorevole solo ad una parte del paese, come fa notare Luca De Biase  

  Se la sinistra vuole farsi notare e farsi prendere in considerazione deve fare emergere una capacità di innovazione orientata a valorizzare le capacità di chi lavora, di chi non appoggia la sua forza sul potere ma sulle capacità, di chi crede nella cittadinanza e nello stato di diritto, di chi dà valore al pubblico e non solo al privato, di chi crede che la felicità di ognuno dipenda almeno un po’ anche da quella degli altri… [leggi il post, qui]

e di scissione in scissione

di sinistra in sinistra
la sinistra passerà [o si farà, per gli ottimisti]

Trovo interessante la nascita di un nuovo partito nato da una scissione del Prc, che prima di subire la scissione del Pdci era nato da una scissione del Pci, che com’è noto è nato da una scissione del Psi, che poi ha subito anche la scissione del Psdi e più avanti quella del Psiup…la scissione…la scissione…la scissione…
[Gilioli, piovonorane]

Storia sentimentale di una catastrofe politica

Ovvero “Sinistrati” il nuovo libro di Edmondo Berselli. Ovvero bocciati: la sconfitta del [centro]sinistra, in Italia.
Era l’argomento dell’Infedele, da Lerner, ieri sera su la7.

Riflessioni interessanti, ma oramai ovvie e inascoltate su: il partito del territorio, i penultimi, le grandi questioni di principio, la sinistra e le primarie, il vecchio che avanza.
Le chiacchiere davanti al caminetto.
Ida Dominijanni del Manifesto ha parlato poco, solo per dire due cose fondamentali, secondo me.
La prima: NON si può continuare a parlare di cose successe venti anni fa, riferirle continuamente al presente e poi invocare il cambiamento.
La seconda era una domanda, in qualche modo legata alla prima considerazione. Ma siamo proprio sicuri che ci siano degli Italiani che vogliono il cambiamento? Ora, adesso?
Ma sì, dai
forse
non si sa

Tutti d’accordo invece nella considerazione sul PD: allo stato attuale, non c’è speranza. Non produrrà nessuna novità e si trascinerà stancamente.
Un contributo potrà venire dalla sinistra diventata extraparlamentare.
Comunque, per un vero cambiamento ci vuole una figura, una guida che abbia queste caratteristiche, deve essere: nuovo, radicato sul territorio e capace di elaborare e indicare un progetto, una possibilità per il futuro.
Nichi Vendola!